Monocroma, pallida, povera di colori, ma ricca di profumi, gusto e tradizioni ancestrali. Stiamo parlando dell’antica "Cucina Bianca del Gargano", una delle tante microcucine territoriali in stile naïf presenti sul territorio pugliese, nata nei secoli scorsi in quello stretto sentiero che ancora oggi separa, a nord del Gargano, i vecchi tratturi della transumanza dalle incantevoli rive delle Lagune di Lesina e Varano.
È lungo questa piccola via lattea, che un tempo, pancotti, fave e cicorie, musciscke, torcinelli, caciocavalli podolici, scamorze, ricotte, legumi, ma anche anguille, cefali e seppie, erano gli unici protagonisti di una cucina nata dalla stessa natura del luogo, non solo per soddisfare la fame atavica dei sui abitanti, ma più egoisticamente, per trattenerli a sé come fa una qualsiasi madre con i propri figli.
Un richiamo d’amore, questo, sempre contraccambiato da chi ha vissuto in passato in questa terra difficile e beata allo stesso tempo, tanto che non dev’essere apparso affatto un sacrificio, in un luogo dove tutto è sempre stato a disposizione di tutti, limitare la propria dieta ai soli prodotti ricevuti in dono dalla natura.
Infatti, per quanto segnata dalla fame e dal desiderio segretamente custodito di mangiare a sazietà, la gente del Gargano ha sempre trovato in questo modo d’intendere la propria cucina, tutte le risposte alle proprie esigenze. La loro è da sempre una cucina fatta di preparazioni semplici e veloci, adatta soprattutto ad essere approntata in rifugi di fortuna, eseguita essenzialmente con ingredienti reperiti lungo i sentieri percorsi dalle greggi e senza l’ausilio del pomodoro come ingrediente principale (ecco perché la denominazione di “bianca”), poiché la coltivazione di questo ortaggio, da queste parti, è apparsa sempre in palese contrasto con lo spirito libero ed irrequieto di questa gente.
La prova di ciò, arriva proprio da un testimone molto importante, frate Michelangelo Manicone, che già nell’ottocento riportò nei suoi scritti un Gargano andato ormai perduto per sempre. Tra le tante ricette riportate dal frate di Vico del Gargano, sorprende quella del maiale fatto cuocere sotto la terra, che lui stesso descrive cosi:
“Nel Gargano gl’inquisiti, i ladri, e i porcari rubano dè porci, gli ammazzano, gli sventrano, e per cuocerli, gli acconciano in questa maniera. Fanno una buca bislunga nel suolo. Indi in distanza di due o tre palmi dal fondo di essa buca vi pongono orizzontalmente delle grosse legne parallele tra di loro, e su questa graticola vi acconciano il porco. Poscia fanno sul porco uno strato di felce o di altre foglie, che coprono di terra. Finalmente su questo strato di terra vi accendono un gran fuoco, che pur cuoprono di terra. Il porco in tal guisa acconciato a capo di tre giorni è già giunto alla perfetta cottura; e dicesi, che questo piatto della natura sia si delicato, che tentar potrebbe di gola lo stesso Apicio.”
Cosi come appare chiaro anche da quest’ultima ricetta, la Cucina Bianca del Gargano si è sempre caratterizzata e si caratterizza ancora oggi per i suoi “piatti unici”, fortemente energetici e decisamente segnati da quello stretto rapporto capace di tessere misteriose armonie con agli animali portati al pascolo, in quanto ricca del loro latte e delle loro carni.
Dev'essere per queste ragioni che i piatti di questo tipo di cucina oltre che di ottime materie prime, appaiono ancora oggi ricolmi di tono emotivo, di gesti e di atti rimasti identici per secoli, ricchi di quella capacità di esprimere la propria diversità e la propria appartenenza ad una cosi particolare “patria alimentare”, ancora oggi perfettamente in linea con l’antico rapporto ciclico del tempo e delle stagioni.
Un modo di essere e di nutrirsi, questo, che rappresenta il giusto tributo ad un’antica terra interamente vestita d’ulivi.
È proprio all’ombra di questo argenteo fiume di foglie, che questa particolare "cucina d’enclave" dona il meglio di sé. Come non leggere, infatti, i tratti caratteristici di questo territorio gustando uno straordinario pancotto di borragine e senape selvatica, irrorato con dell’ottimo e abbondante olio extravergine di Ogliarola Garganica, o ancora, come non leggerli, una volta gustato il “Bianco di Pesce”, con seppie, cefali e orate pescate in lago, conditi solo con olio extravergine, aglio e prezzemolo.
Non farlo, sarebbe davvero un errore imperdonabile.
La sfida che oggi attende la Cucina Bianca del Gargano, è quella di intrecciare il passato al presente, concorrendo così a comprendere e a definire meglio la pluridimensionalità di questo enorme patrimonio gastronomico, generatosi nel tempo, da una meticolosa visione circolare della natura, in cui il cibo servito in tavola, trascende dalla dimensione di mero nutrimento, per divenire altro.
Magari, forse, anche voce interiore.